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giovedì 3 gennaio 2013

DIFFIDARE DELLA DOTTA IGNORANZA DEGLI ESPERTI


di Edgar Morin

(traduzione di Giovanni Cutolo)


"Purtroppo i nostri dirigenti sembrano totalmente superati, incapaci di fare diagnosi corrette della situazione e tantomeno di proporre soluzioni concrete, inadeguati al livello delle sfide. È come se una piccola oligarchia interessata esclusivamente al suo avvenire a breve avesse preso i comandi." (Manifesto Roosevelt 2012)
Una "corretta diagnosi" implica un pensiero capace di riunire e organizzare le informazioni e le conoscenze disponibili, che però sono compartimentate e disperse.
Questo pensiero dovrà stare attento a non cadere nell'errore di sottovalutare l'errore e dovrà evitare di rimanere vittima dell'illusione di sottotovalutare l'illusione. Errore e illusione condussero i responsabili politici e militari della Francia al disastro del 1940; errore e illusione condussero Stalin a far credito a Hitler, rischiando l'annientamento dell'Unione Sovietica. Tutto il nostro passato, anche quello più recente, brulica di errori e di illusioni quali l'illusione di un progresso indefinito della società industriale, l'illusione della impossibilità di nuove crisi economiche, l'illusione sovietica e quella maoista e oggi ancora l'illusione di uscire dalla crisi dell'economia neoliberale con gli strumenti economici di quello stesso neoliberismo responsabile della crisi.
L'errore non porta soltanto a non vedere i fatti quanto piuttosto a una visione unilaterale e riduttiva che fissa esclusivamente un solo aspetto di una realtà che è al tempo stesso una e molteplice, fondamentalmente complessa.
Orbene, il nostro insegnamento che pur ci fornisce innumerevoli fonti di conoscenza, non ci dice nulla sui rischi causati dall'errore e dalla illusione, che sono i problemi fondamentali della conoscenza e tantomeno ci insegna quali debbano essere le condizioni di una conoscenza pertinente, in grado di affrontare la complessità delle realtà.
Notre machine à fournir des connaissances, incapable de nous fournir
Paradossalmente la scollegata frammentazione delle conoscenze produce, nel mondo degli esperti e degli specialisti, un nuovo tipo di assai dotta ignoranza. Una dotta ignoranza incapace di rilevare lo spaventoso vuoto del pensiero politico che si ritrova in tutti i partiti e in tutti i paesi del mondo.

Noi tutti abbiamo visto nei paesi della "primavera araba" ma anche in Spagna e negli Stati Uniti una gioventù animata da nobili aspirazioni alla dignità, alla libertà, alla fraternità oramai perdute dai più anziani, addomesticati o rassegnati. Abbiamo visto che questa energia dispone di una intelligenza strategica pacifica che è stata capace di abbattere ben due dittature. Ma abbiamo anche visto questa gioventù dividersi, abbiamo visto i partiti politici incapaci di formulare una linea, di indicare una via, di formulare un disegno prospettico e cosí abbiamo visto dovunque nuove regressioni a detrimento delle recenti conquiste democratiche.

Questo male è generalizzato. La sinistra è incapace di trarre dalle sue radici libertarie, socialiste e comuniste un pensiero che risponda alle attuali condizioni della evoluzione e della mondializzazione. Essa è incapace di integrare la fonte ecologica necessaria alla salvaguardia del pianeta. Il presidente di sinistra di una Francia di destra non può nè ricadere nelle illusioni della vecchia sinistra nè perdere la propria identità sostanziale mettendosi a rimorchio della destra. È condannato ad andare avanti. Ma ciò richiede una profonda trasformazione del modo di vedere le cose, della struttura stessa del pensiero. Una trasformazione che consenta la individuazione di una linea, una via, un progetto capace di riunire e armonizzare tra loro le grandi riforme che aprirebbero una nuova strada.
Vorrei accennare a quale potrebbe essere questa nuova linea, riprendendo quanto già indicato sia ne "La Via" che ne "Il Cammino della Speranza", da me scritti entrambe in collaborazione con Stéphane Hessel.

Vorrei innanzitutto osservare che sarebbe molto attuale e opportuna una riforma della conoscenza e del pensiero del sistema di educazione pubblica. L'assunzione di oltre 6.000 nuovi docenti dovrebbe consentire la formazione di insegnanti di nuovo tipo, preparati a trattare i problemi fondamentali e globali ignorati sinora dal nostro insegnamento: i problemi della conoscenza, della identità, della condizione umana, dell'era  planetaria, della comprensione umana, dell'etica.
Rispetto a quest'ultimo punto, l'idea di introdurre l'insegnamento di una morale laica mi appare necessario ancorché insufficiente. La laicità all'inizio del XX secolo era fondata sulla convinzione che il progresso fosse una legge immutabile della storia umana alla quale si accompagnava necessariamente il progresso, quello della ragione e della democrazia.
Oggi invece sappiamo che il progresso umano non è nè sicuro nè irreversibile. Conosciamo le patologie della ragione e non possiamo più tacciare come irrazionali le passioni, i miti, le ideologie. Dobbiamo ritornare alle fonti prime della laicità, quelle dello spirito del Rinascimento che comportano la problematicizzazione. Dobbiamo problematicizzare anche quegli elementi che ci erano apparsi come portatori di soluzione, vale a dire la ragione e il progresso.

Quale morale allora? Per uno spirito laico le fonti della morale sono antropo-sociologiche. Sociologiche nel senso che comunità e solidarietà sono contemporaneamente fonti dell'etica e condizioni del benvivere in società. Antropologiche nel senso che ogni soggetto umano porta con sè una duplice logica: una logica egocentrica che lo pone letteralmente al centro del mondo e che conduce all' "io innanzitutto"; una logica del "noi" che risponde al bisogno d'amore e di comunità che si ritrova nel neonato e che in seguito troverà il suo sviluppo nella famiglia, nei gruppi di appartenenza, nei partiti politici, nella patria.

Noi viviamo in una civilizzazione nella quale le antiche solidarietà si sono degradate, nella quale la logica egocentrica si è sovrasviluppata e nella quale la logica del "noi" collettivo si è "sottosviluppata". Sono queste le ragioni per le quali occorrerebbe sviluppare, oltre all'educazione, una grande politica della solidarietà. Una politica che comportasse l'obbligo per i giovani di ambo i sessi a prestare un servizio civico di solidarietà, ma che prevedesse anche la creazione di Case della Solidarietà volte a soccorrere le persone in pericolo e abbandonate.
Ciò detto, si può ben comprendere come uno degli imperativi politici odierni sia quello di promuovere lo sviluppo congiunto di cose che appaiono antagoniste fra loro, come l'autonomia individuale e la partecipazione comunitaria.
Possiamo dunque intendere che le riforme della conoscenza e del pensiero non siano altro che i preliminari, necessari ma non sufficienti, a qualsivoglia rigenerazione e rinnovamento politico, a ogni nuova via per affrontare i problemi vitali e mortali della nostra epoca. Possiamo infine vedere come sia possibile oggi iniziare una riforma dell'educazione attraverso l'introduzione della conoscenza dei problemi fondamentali e vitali che ciascuno ha l'obbligo di affrontare come individuo, cittadino, essere umano.

Edgar Morin, sociologo e filosofo

LE MONDE del 1.1.2013

( traduzione di Giovanni Cutolo)

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