...per il recupero della memoria storica, per la difesa, il riscatto ed il futuro del popolo meridionale, per una vera rappresentatività politica del Sud...

lunedì 31 gennaio 2011

L’Italia ancora a due velocità

di Lino Patruno - Nel Paese non si è ancora disinnescato quello che il Nobel per l’economia, Krugman, ha chiamato il “meccanismo automatico del sottosviluppo”. Da qui il gap tra le due parti del Paese.

Gira gira, il Sud si dibatte fra la palla di neve e la pentola bucata. Non è l’ultimo quiz di “Tu sarai milionario”, ma il bollettino medico a 150 anni dall’Unità d’Italia. E alla vigilia del rischio di una nuova disunità col federalismo prossimo venturo. Il Sud che si permette di farlo notare, lo fa sottovoce, per evitare di beccarsi l’etichetta di neo-borbonico per la quale si rischia una fatwa in versione italiana.
Effetto “palla di neve” è la versione terra terra del concetto di “meccanismo automatico del sottosviluppo”. Quello che, udite udite, ha guadagnato il Nobel all’economista americano Paul Krugman. Di che si tratta? In poche parole, se si continua a dire che il Nord è la locomotiva del Paese, e che il Paese crescerà solo se il Nord cresce, si continua a considerare il Sud un vagone di scorta che corre (si fa per dire) se corrono altri. Cioè si continua a perpetrare un errore che si trascina dall’Unità d’Italia, quando improvvide decisioni relegarono il Sud a quel ruolo sfortunato che ancora oggi non ha cambiato.
Sviluppo industriale al Nord “vincitore”, al Sud l’agricoltura più il privilegio di essere un grande e garantito mercato di consumo per i prodotti del Nord. Oltre che un serbatoio mica male di voti. Con lo Stato a intervenire ogni volta che il Sud, com’era prevedibile, non ce l’avesse fatta. Per inciso, questo non lo dicono i neo-borbonici, lo dicono gli storici “ufficiali”.
E, tenetevi forte, anche due ministri come Giulio Tremonti e Renato Brunetta, chissà se in momenti di debolezza o di illuminazione. Ora, le industrie sono come i soldi di Eduardo De Filippo, hanno voce e si chiamano fra loro, nel senso che per arricchirsi è meglio già avere soldi. Se cominci a investire in una zona, lì andranno a investire anche altri perché si crea l’ambiente industriale. E non andranno a investire altrove. Come dire, Nord e Sud. Senza correttivi, funziona come la palla di neve, che si ingrossa man mano che rotola.
Siccome i correttivi sono sempre stati le “politiche speciali”, cioè facciamo qualcosa solo nei momenti più acuti del male, nulla è mai cambiato. Cassa per il Mezzogiorno come l’emergenza rifiuti a Napoli. Ma eccoci subito alla pentola bucata. Sempre in deficit commerciale col Nord, il Sud supplisce con l’assistenza (scusate il termine) dello Stato. Fa parte del gioco, e conviene soprattutto a chi lo rinfaccia. Ma, al di là delle parole, nei fatti se non si riduce il divario col Nord, anzi cresce sempre, ogni anno lo Stato dovrà dare un euro in più: come una pentola che perde acqua perché è bucata. Non piace soprattutto al Sud, ma così va.
Ora però arriva il federalismo fiscale: imparate a governarvi meglio, e avrete risolto tutti i vostri problemi. Quanto il Sud abbia bisogno di governarsi meglio, solo Dio lo sa. Ma che possa bastare, lo stesso buon Dio sa quanto non sia vero. Occorre almeno non partire ad handicap, cioè occorre che la palla di neve rallenti.
E non con l’elemosina alle singole aziende, che magari ringraziano fino alla prossima elemosina. Ma creando le condizioni perché anche al Sud le fabbriche si chiamino fra loro. Capitale sociale, si dice: dalle infrastrutture ai servizi, dal credito alla formazione. Solo così le cattive pratiche del Sud immutabile possono diventare buone pratiche di un Sud che è il primo a voler cambiare. Sarebbe, insomma, il federalismo “equo e solidale”.

Fonte : il Sud


ALLA RISCOSSA TERRONI
di Lino Patruno
Lino Patruno, Alla riscossa terroni. Perché il Sud non è diventato ricco. Il caso Puglia, Manni editore, San Cesario di Lecce 2008, pp. 176, € 15,00

giovedì 27 gennaio 2011

Elezioni/Ricerca : 21% i potenziali elettori per il Partito del Sud


Roma, 25 gen. (TMNews) - Il 21% degli italiani potrebbe votare il 'Partito del Sud' se le elezioni fossero imminenti, percentuale che sale al 38% nelle regioni meridionali. Ma ciò che più conta è che il maggior interesse per il 'Partito del Sud' si registra a sinistra, e che quasi la metà dei potenziali elettori proviene dal popolo degli indecisi e degli astenuti. E' quanto emerge dalla ricerca commissionata dai parlamentari di 'Noi Sud' all'Ispo sulle "Potenzialità di un partito del Sud", presentata oggi dal professore Renato Mannheimer in conferenza stampa a Montecitorio.
Secondo il sondaggio dell'Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione un italiano su tre (8% molto, 25% abbastanza) giudica opportuna la formazione di un 'Partito del Sud', ipotesi che nel meridione trova consenso addirittura nel 45% dell'elettorato. E tuttavia, a quanto risulta all'Ispo, il potenziale elettore del 'Partito del Sud' è più tra chi in politica si sente di sinistra (29%), solo dopo viene chi si considera di centro (27%) o di centrodestra (23%). Più 'freddi' coloro che si collocano a destra (21%) e nel centrosinistra (18%). Il nuovo partito, inoltre, suscita interesse soprattutto tra i giovani e nei piccoli Comuni.
E comunque, riferisce ancora la ricerca, il bacino elettorale potenziale è pari al 21%: il 3% degli italiani infatti voterebbe certamente il 'Partito del Sud', mentre il 18% lo prenderebbe abbastanza in considerazione. A livello territoriale, il 38% degli elettori al Sud prenderebbe in considerazione il voto, il 13% nel Nord est e l'11% nel Nord ovest e nel centro Italia. Stando all'Ispo, su 100 elettori che prenderebbero in considerazione il voto per il 'Partito del Sud' quasi la metà (44) proviene dall'area degli astenuti e degli indecisi (rispettivamente, 14 e 30), poi dal Pd (18) e dal Pdl (16), e a distanza da Sel (6) e Fli (6), Udc (3), Lega (1) e Idv (1).
"Questi dati - ha dichiarato Renato Mannheimer - dimostrano come il Partito del Sud abbia grandi potenzialità non solo nel meridione, ma in tutto il Paese".

MAIPIUSOLI: il gruppo d'acquisto meridionalista più forte di obiezioni e pregiudizi

di Ivan Esposito
Da quando è cominciata l'avventura di MAIPIUSOLI, il gruppo d'acquisto meridionalista, le obiezioni ricevute sono state sostanzialmente due. Una sciocca, e l'altra pure.
La prima è quella integralista, quella per cui nessun prodotto, nel mondo globalizzato, può essere definito realmente meridionale. Metti la mozzarella di bufala campana, ad esempio: più Sud di così! E invece non ti sei accorto - sostengono sicuri gli integralisti - che il laccetto di plastica che sigilla la busta è stato fatto in un'altra parte del mondo. Come si fa, con un laccetto simile, a definire l'oro bianco un prodotto del Sud?
La seconda la definirei mondialista. Arriva in genere dalla sinistra di paese, da chi spiegandoti il presente e il futuro cerca disperatamente di nascondere un provincialissimo complesso d'inferiorità, senza riuscirci.
I mondialisti inorridiscono davanti ad un'iniziativa protezionistica come (loro ritengono sia) MAIPIUSOLI. Che figura ci facciamo con quelli del Nord, che hanno successo senza ricorrere a simili mezzucci?!
Ai primi è facile rispondere. Nessuno sta cercando l'impresa o il prodotto meridionale puro. La purezza - in senso etnico - lasciamola alla follia nazista e alle tragicomiche discendenze celtiche. Il nostro gruppo d'acquisto sceglie i prodotti sulla base di una semplice addizione. Sommiamo le tipologie di soggetti che ricevono valore aggiunto dalle imprese produttrici. Un'impresa che funziona infatti distribuisce ricchezza a favore di:
a. chi ci mette i soldi, proprietari e risparmiatori, pagando loro dividendi e interessi o incrementando il valore delle quote;
b. chi ci lavora: stipendi, contributi ecc.
c. le Istituzioni, soprattutto le Regioni col federalismo fiscale;
d. il sistema di imprese del territorio: l'indotto dei fornitori;
e. la comunità in senso ampio, con sponsorizzazioni e progetti di responsabilità sociale.
Tra un'impresa che ha nel Mezzogiorno queste cinque tipologie di percettori e un'altra che ne ha quattro, preferiamo la prima. Quella che ne ha quattro è sempre meglio di una che ne ha tre e così via.
Sommiamo le tipologie e non gli importi poiché dà più garanzie di continuità e di investimenti una proprietà meridionale di quante possa fornirne un mega stabilimento con tanti dipendenti che rispondono ad interessi e strategie altre. Inseguire i grandi numeri in termini di posti di lavoro è stata una delle ragioni del fallimento delle politiche meridionaliste del Novecento, dall'Ilva di Bagnoli ai contratti d'area.
Veniamo ai mondialisti. Questi valutano le cose al di fuori del tempo e dello spazio. Non considerano cioè l'impatto del federalismo fiscale di prossima attuazione in Italia, nel 2011. Se lo facessero, saprebbero che inviare risorse dal Sud al Nord sottoforma di acquisti, e contemporaneamente ricevere molto meno dallo Stato per i servizi pubblici (sanità, scuola, trasporti etc.), non è sostenibile. Significa avere più uscite e meno entrate.
Quanto alla presunta contrapposizione di iniziative come MAIPIUSOLI verso il Nord, essa semplicemente non esiste. Un sud più povero è un sud che compra meno prodotti settentrionali, comunque. Ci siano o meno iniziative come la nostra. Al contrario, un Mezzogiorno con un sistema di imprese salde e autonome - autonome dalla spesa pubblica e dalla monocommittenza dei grandi gruppi industriali e distributivi che oggi alimenta tante piccole ditte contoterziste, come per la pasta e le conserve di pomodoro - richiede un minore intervento perequativo dello Stato e mantiene la volontà di acquistare tanti ottimi prodotti tipici settentrionali. MAIPIUSOLI dice agli italiani del Nord: pagate meno tasse, mangiate più mozzarella e tornate più spesso a visitarci. Altro che razzisti alla rovescia!
Ivan Esposito Partito del Sud - Napoli

mercoledì 26 gennaio 2011

PSICOASTENIA!



riflessioni sui nostri tempi :

di Bruno Pappalardo

Siamo in psicoastenia. Non siamo più coscienti.La dico meglio; … nonostante si sia in grado di capire chiaramente tutto ciò che c’è da capire e agire di conseguenza e consapevolmente, non muoviamo un dito per mutare le cose e ciò dimostra una tale indifferenza da raggiungere un discreto tasso di codardia.
Parlo a tutti gli italiani. Credo sia giunto il momento propizio per schierarsi! E’ il momento ideale per farlo! Perché? Perché tutti sanno tutto di tutto! Non c’è bisogno di sapere o avere prove e leggere di atti in tribunali e sentenze per sapere se quel tizio è onesto o un ladro, lo sappiamo già. Sappiamo che lo è! Chi lo difende vuole difendere se stesso, i propri guadagni o i propri peccati. Siamo narcotizzati dall’imbecillità di infinite dissertazioni vuote come pitali rotti e da cui nasce l’ipnosi mediatica. Si diventa remissivi e consenzienti, ci lasciamo lentamente sottrarre, pur vedendoli, i nostri diritti senza reagire come storditi da un pendolino. Si diventa complici. Non si può essere solo osservatori e non ritenersi complici.
Per schierarsi è difficile? Ma NO! basta farsi domande:
1) Sono cattolico? Sono un credente? Se lo sono, lo sono ma volendo rimanere laico e senza alcuna interferenza della Chiesa nella politica o nella mia vita privata e viceversa?
2) Sono per le leggi “Ad Personam” e “Conflitti d’Interesse”?
3) Se sono perseguitato dalla giustizia non mi presenterò mai davanti alla giustizia? (… se non lo farò, ci sarà una ragione, quale ?!!) Se un legittimo sospetto coinvolgesse la mia persona di politico o uomo pubblico, riterrei giusto o sbagliato “dimettermi” dal mio incarico?4) Sono per i più deboli o tutti fanno parte del corpo sociale e a ciascuno il suo? Sono per un’equità fiscale in ragione di distinta proporzione in base al reddito, ossia il povero paga meno ed il ricco paga di più?
5) Ritengo di dover-poter essere ricattato da un manager, datore di lavoro o di un funzionario per continuare a lavorare per solo sfamare i nostri propri figli davanti agli out, out di costoro che ti chiedono: “ sei disposto ad accettare le mie condizioni senza che tu m chieda dei tuoi diritti di ammalarti, di scioperare o di guadagnare di più? ( Marchionne guadagna 6.400 volte lo stipendio di un proprio operaio: In un sol giorno ha guadagnato 100milioni di euro (oltre a 4,5 milioni di euro fissi)con i titoli in Borsa di Fiat; di nuovo Conflitto d’interesse? Sei d’accordo se questa pratica, già diffusissima nel Paese, si allargasse ancora di più ??!!!!
6) Sono per firme false per le liste elettorali? Per favoritismi mediante listini per incarichi diretti a favore di consiglieri regionali non formati per governatori e sindaci? Meritocrazia zero!
7) Sono per favorire parenti e amici e di partito, per chiamata diretta (parentopoli) da impiegare in enti o organismi pubblici in assenza di concorsi o aziende private, scuola, università, inserimento in graduatorie e che, dunque, non valutino i requisiti di merito?? Meritocrazia zero!
8. Sono per trascurare la Sicurezza sui luoghi di lavoro? (… muoiono circa 5 operai al giorno nei cantieri o in generale sul proprio posto di lavoro ) Sono, dunque, d’accordo che la Politica abbia detto che i costi per la sicurezza impediscono lo sviluppo delle imprese e dunque bisogna tagliare le norme per l’incolumità di studenti, malati in ospedali, utenti in luoghi pubblici, lavoratori in azienda et cetera?
9) Sono a favore di appalti illeciti pilotati per volontà di cricche collegate a funzionari dello Stato e alla criminalità? Voglio che questi acquisiscano pezzi di demanio, palazzi storici e litorali? Penso che tutto si muova per il finanziamento illecito dei partiti, personali interessi e/o riciclaggio di denaro sporco?
10) Sono per una naturale Evasione Fiscale/Società Offshore: paradisi fiscali che tolgono denaro da tassare al nostro paese che potrebbe sostenere un migliore sviluppo, un minore debito pubblico, una diminuzione dei costi di Servizi et cetera?
11. Sono, se fosse necessario, capace di accordarmi pure con le mafie per riuscire nel mio giusto intento?
12) Sono per far circolare sempre gli stessi funzionari e/o giudici nei vari organismi di controllo dello Stato?
13) La vita privata di importanti uomini e donne della politico è anche pubblica?
14) Sono per la privatizzazione di tutto? Sono d’accordo che nell’università entri il privato e che lo studente si indebiti con “ finanziamenti da onorare” e la convenuta restituzione (attualmente uno studente su sei non arriva all’università) Meritocrazia possibile o zero?
15) Sono d’accordo che un uomo politico debba essere una persona linda e se Presidente del Consiglio o delle Camere la sua vita debba essere ESEMPLARE? ( Leone nel pur bugiardo scandalo di Lookheed si dimissionò) Bisogna schierarsi e darsi delle risposte!. Non era così difficile,… vi pare???Vuoi tu uomini come Il meridionale Donato Menichella? (dal 1934 al ’44 Direttore Generale dell’IRI) Relatore della riforma sulla legislatura bancaria. Dal ’46 al 47 è Direttore Generale della Banca d’Italia. Fondatore nel ’46 della Svimez e nel ’50 della Cassa del Mezzogiorno. Nel ’47 governatore della Banca d’Italia) si autoridusse il suo stipendio dell’IRI e non ritirò, ritornato all'IRI, dopo la guerra, due anni e mezzo di stipendio; disse; “Dall'ottobre 1943 al febbraio 1946 non ho lavorato!” Decise per se il suo stipendio a meno della metà di quanto era previsto. Nel ‘66 ottenne che gli riducessero la pensione, praticamente alla metà asserendo: 'Ho verificato che da pensionato mi servono molti meno danari!'. Ai figli ha lasciato lettere e documenti di tutte le proposte e rinunce a posti, prebende e cariche. Cari Marchionne, manager, politici, consulenti, banchieri, presidenti di Enti dello Stato e Locali, … Vergogna! … ma dov’è il Pudore! Noi cerchiamo la nuova classe dirigente; che sia fatta di vecchi o giovani poco conta ma che sappia ri-intercettare quei valori che animavano, con probante onorabilità l’animo di certi uomini dello Stato . Dal passato, il nostro futuro: il coraggio di parlare, il coraggio di restaurare, il coraggio di ricostruire, il coraggio di infilare i pali di struttura sul terreno solido, roccioso della nostra consapevolezza di uomini migliori, superbi.
Uomini del sud, segnati “ante rem” da infausti condanne davanti alle quali abbiamo sempre vigorosamente reagito ma, oggi, più vicini alla strada interrotta del nostro sviluppo, il solco sollevato dai calzari di straccio dei nostri patrioti che segnarono di rosso di sangue e santo, quel sentiero di riscatto dell’onore, della libertà e della patria.
Bruno Pappalardo Partito del Sud - Napoli

martedì 25 gennaio 2011

Niente storia, italiano e solo Nord ecco l'università della Gelmini

Solo scienziati e università settentrionali nell'agenzia che valuta gli atenei e che deciderà sugli stanziamenti. La protesta di filosofi, storici, studiosi di letteratura e dei docenti del Mezzogiorno. "Una parte importante della ricerca rischia di vedersi ridurre i finanziamenti"


di Simonetta Fiori




Le discipline umanistiche? Non esistono per il governo italiano. Non esiste la storia. Non esiste l'italianistica. Non esiste lo studio dell'arte e dell'archeologia. Non esistono la filosofia né l'estetica. Non esiste, in sostanza, quella tradizione di saperi che conserva il patrimonio e la memoria di un paese. Dal consiglio direttivo dell'Anvur (l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), nominato dal Consiglio dei ministri, sono stati esclusi gli studiosi delle scienze umanistiche. Ed è stato escluso l'intero Mezzogiorno, nel senso che non vi figura nessun rappresentante delle facoltà collocate a Sud di Roma.

All'agenzia spetta un compito fondamentale: giudicare la qualità degli atenei e degli enti di ricerca. Dalle valutazioni discendono i finanziamenti che premiano i risultati migliori. Per questa ragione l'esclusione dell'area umanistica solleva allarme e preoccupazione nella comunità intellettuale. E diventa anche un caso politico. "Ora che finalmente l'Agenzia viene attivata", ha dichiarato Luigi Zanda, vicepresidente del gruppo del Partito Democratico a Palazzo Madama, "il governo ricade nella cattiva abitudine di dividere la cultura tra discipline buone e discipline cattive, e le Università tra quelle del Nord e quelle del Sud". Uno squilibrio che non ha turbato i sonni di Giulio Tremonti, secondo alcuni preoccupato solo di analizzare il colore politico dei consiglieri: ma la sua "furibonda" telefonata alla Gelmini è stata smentita dal Miur. Mentre Paola Binetti mugugna per la nomina dell'illustre genetista, del quale non gradisce il genere di ricerche. "Sono uno scienziato, non un agitatore politico", è la replica di Giuseppe Novelli.

Centrale rimane la questione dell'esclusione delle scienze umane e del Mezzogiorno. "Sbalordito" e "deluso" si dice Salvatore Settis, che fa parte del comitato che aveva proposto una rosa di quindici candidature al ministro Gelmini, la quale poi ha selezionato sette nomi rappresentativi delle varie aree disciplinari, ma non delle scienze umane. "Non riesco a comprendere le ragioni dell'esclusione", interviene lo studioso. "Abbiamo lavorato con serietà e rigore, mettendo in gioco la nostra esperienza internazionale e le nostre competenze. E ora vediamo che sono state tagliate fuori le scienze umane e l'intero Mezzogiorno". Nella rosa dei sette nomi approvati, compaiono due economisti (Fiorella Kostoris e Andrea Bonaccorsi), una sociologa (Luisa Ribolzi), un genetista (Novelli), un veterinario (Massimo Castagnaro), un fisico (Stefano Fantoni) e un ingegnere (Sergio Benedetto): in sostanza le scienze sociali (in larga rappresentanza), le scienze biomediche e le scienze fisiche. "È evidente la sproporzione", continua Settis, che nel suo comitato era l'unico rappresentante delle discipline escluse. In una lettera alla Gelmini ha chiesto che al più presto sia posto rimedio allo squilibrio.

Identiche perplessità provengono da Enrico Decleva, storico dell'età contemporanea e presidente della Conferenza dei Rettori. "Colpisce l'assenza delle discipline umanistiche. E colpisce anche la mancanza delle università del Mezzogiorno. Ma confido nel fatto che il governo provveda ad ampliare il consiglio direttivo".

In fermento è la comunità degli studiosi che operano nelle Facoltà di Lettere e Filosofia, le più penalizzare dalla scelta del ministro. "Il rischio è che alle nostre discipline vengano trasferiti parametri di valutazione che hanno senso solo in campo scientifico", interviene Amedeo Quondam, presidente degli italianisti. In un documento firmato dalle diverse associazioni - oltre gli italianisti, gli slavisti, i latinisti, gli storici dell'arte, i filosofi, gli studiosi di estetica, gli anglisti, gli storici dell'età medievale, moderna e contemporanea, la conferenza dei presidi di Lettere e Filosofia - si chiede che nel consiglio direttivo dell'Anvur "ci sia una rappresentanza qualificata dell'area umanistica" tenendo conto del fatto "che questo ampio settore ha da tempo elaborato una condivisa cultura della valutazione, in grado di tenere conto con equilibrio di quanto lo rende omogeneo a tutti gli altri settori e di quanto invece lo distingue". Valutarlo secondo criteri sbagliati, in sostanza, porterebbe danno alla memoria e al patrimonio di un paese già in forte crisi di identità.

Fonte : http://www.larepubblica.it/

lunedì 24 gennaio 2011

"L’Unità d’Italia? Da 150 anni gronda sangue dei terroni

Da direttore di Gente a paladino del Mezzogiorno col libro sui misfatti dei Savoia, Pino Aprile racconta come i 150 anni dell’Unità d’Italia grondino sangue dei terroni. A lui Al Bano al Festival di Sanremo dedica un inno, ma c’è chi lo minaccia di morte.


di Stefano Lorenzetto


La rappre­sentazione plastica di come sia impossibi­le mettere d’accordo polentoni e terroni l’ho avuta davanti al­la vetrina di una libre­ria di Verona. Sicco­me per la copertina del suo Terroni , edito da Piemme, Pino Apri­le ha scelto una silhouette capovolta dello Sti­vale, con la Sicilia a nord e la Campania a sud, una zelante commessa ha pensato bene di correggergliela esponendo il volume col tito­lo a rovescio. In un solo colpo la libraia ha così ristabilito il primato del planisfero, con­fermato il sottotitolo dell’opera ( Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud di­ventassero «meridionali» ) e ribadito senza volerlo la battuta di Marco Paolini riportata nelle pagine interne: «Quando non si vuole capire la storia, la si trasforma in geografia». Uscito dalla tipografia Mondadori prin­ting di Cles, Trento, Val di Non (a dimostra­zione che l’Italia unita almeno per gli editori è cosa fatta), Terroni è diventato nel giro di dieci mesi bestseller, oggetto di scontro, ma­nifesto dell’orgoglio sudista, testo sacro per i revisionisti del Mezzogiorno, strumento di lotta politica e ora persino brano del Festival di Sanremo: Al Bano, 67 anni, pugliese di Cel­lino San Marco, inserirà nel suo Cd l’inno Gloria, gloria scritto da Mimmo Cavallo e ispirato al saggio di Aprile, 60 anni, pugliese di Gioia del Colle.
Non basta. Terroni è l’edizione multime­diale per iPad, con foto, interviste e spezzoni dal film E li chiamarono briganti di Pasquale Squitieri, in uscita a febbraio. Terroni è lo spettacolo teatrale che andrà in scena il 21 marzo al Quirino di Roma, «per rispondere a Umberto Bossi e alla sua arroganza, per dire basta a questo massacro che dura da 150 an­ni », proclama dalle pagine di Facebook l’at­tore- regista Roberto D’Alessandro, cresciu­to alla scuola di Gigi Proietti. Terroni , insom­ma, è tifo da stadio: non a caso l’autore, pur avendo ormai perso il conto delle ristampe («almeno una ventina»), rivela d’averne ven­duto 150.000 copie, mentre su Wikipedia un biografo infervorato gliene attribuisce addi­rittura mezzo milione, il che, anche a voler considerare le brossure veicolate da Mondoli­bri e gli e­book scaricati da Internet, appare piuttosto esagerato.
Pino Aprile è stato vi­cedirettore di Oggi e poi direttore di Gente . Prima d’avere come tar­g­et fisso Carolina di Mo­naco («ho scoperto che era calva: scoop mon­diale »),s’era sempre oc­cupato di terrorismo e politica. Da pensionato pensava di dedicarsi al­la passione della sua vi­ta: il mare. Ha diretto il mensile Fare vela e ha scritto tre libri dai titoli sanamente monomani­acali: Il mare minore , A mari estremi e Mare, uo­mini, passioni . Poi gli è scappato Terroni ed è fi­nit­o nell’oceano in tem­pesta: «Ho accettato fi­nora quasi 200 presen­tazioni. Nel frattempo sono giunti all’editore altri 500 inviti. In teoria avrei l’agenda piena di appuntamenti sino alla primavera del 2012, se non ricevessi altre ri­chieste. Invece conti­nuano ad arrivarne. Mi chiamano anche al­l’estero. La prima tra­sferta è stata in Svezia, quindi Londra, Zuri­go, Manchester, New York... Sono distrutto».


Ma la invitano solo i circoli dei calabresi o anche quelli degli emigrati veneti?
«Università, centri di cultura, associazioni italiane, come la Dante Alighieri».
È il libro di saggistica che resiste da più mesi in classifica o sbaglio?
«Vero. Spero che mi venga perdonato».
Com’è nata l’idea di Terroni?
«Avevo delle domande, cercavo delle rispo­ste. Se davvero a fine Ottocento i meridiona­li erano poveri, arretrati e oppressi, perché mai reagirono contro i “liberatori” venuti dal Nord con una guerra civile durata a lun­go e successivamente con la fuga, emigran­do? Solo dopo molti anni ho pensato di far­ne un libro».
Ha ricevuto offese o minacce?
«Offese tante. Qualcuno mi chiede se non ho paura. E di che? Su Facebook un tale mi ha scritto: “Farai la fine di D’Antona”. Ho cer­cato di rintracciarlo, ma risultava inesisten­te. Del resto quella è una lavagna collettiva su cui compare di tutto: un estimatore mi ha dedicato lo slogan pubblicitario “Terroni, non ci sono paragoni”. È seccante la suppo­nenza di chi crede di sapere già tutto e non è nemmeno sfiorato dal dubbio».
Alla presentazione di Torino s’è quasi sfiorata la rissa.
«Eravamo nella Sala dei Cinquecento, gli al­tri sono rimasti in piedi... Una persona ha in­veito contro Roberto Calderoli, che non era presente, per gli insulti rivolti dal ministro le­ghista ai napoletani. Gli interventi di Marcel­lo Sorgi, Massimo Nava e Pietrangelo Butta­fuoco sono filati via lisci. Quando ha comin­ciato a parlare Giordano Bruno Guerri, che ha scritto un libro sul brigantaggio postunita­rio, la stessa persona lo ha offeso. Lo storico è sceso dal palco per regolare i conti e il conte­statore s’è zittito. Meno male: Guerri discen­de dai pirati etruschi, ha profilo da pugile e mani da cavatore di ciocco».
Si può dire che Terro­ni abbia fatto venire al Sud la voglia di se­cessione che fino a ie­ri serpeggiava solo al Nord?
«No. È stato detto che Terroni incita i meridio­nali alla sollevazione. Fi­guriamoci! Il Mezzogior­no non ha voce: tutti i giornali nazionali, ec­cetto La Repubblica, si pubblicano al Nord e le tre reti televisive private sono di un editore lom­bardo che, da capo del governo, ha voce in capi­tolo pure in quelle pub­bliche. Per la legge di prossimità, la stampa trova più interessante il miagolio del gatto di ca­sa rispetto al ruggito del leone nella savana. Il Nord scopre che cosa sta accadendo dalle mie parti solo quando s’in­terroga sul successo di Terroni o del film Benve­nuti al Sud . Ma Terroni è il dito che indica la lu­na, non la luna. Ci sono libri che cambiano il cuore degli uomini. Mi spiace, il mio non è fra questi: sono nato di feb­braio e non ho avuto per padre putativo un mite falegname. La voglia di secessione del Sud ger­moglia come reazione agli insulti dei mini­stri del Nord. È meno forte e diffusa che in Lombardia o nel Veneto, ma cresce».
Quali sentimenti suscitano in lei i 150 an­ni dell’Unità d’Italia?
«Di delusione, talvolta di disgusto. In quale Paese può restare in carica un ministro che ha trattato la bandiera nazionale come carta igienica? O un sindaco che ha marchiato con simboli di partito la scuola dei bambini? L’Italia unita era da fare, perché ogni volta che cade una frontiera gli uomini diventano più liberi, più ricchi, più sicuri, più felici. Ma non era da fare con una parte del Paese schie­­rata contro l’altra. La ricorrenza dei 150 anni poteva diventare l’occasione per fare onesta­mente una volta per tutte i conti con la sto­ria. Così non è».
Che cosa pensa dei Savoia?
«Si sono trovati al posto giusto nel momento giusto. Mentre un’esigua minoranza, non più dell’1-2 per cento della popolazione,era animata dal pio desiderio di unificare l’Ita­lia, loro ne avevano l’impellente necessità: strozzati dai debiti, potevano salvarsi solo con l’invasione e il saccheggio del Sud. Lo scrisse nel 1859 il deputato Pier Carlo Bog­gio, braccio destro di Cavour: “O la guerra o la bancarotta”. Fino al 1860, per ben 126 an­ni, i Borbone mai aumentarono le tasse. Nel Regno di Napoli erano le più basse di tutti gli Stati preunitari».
Bruno Vespa mi ha confessato la sua sor­presa nello scoprire solo di recente che nel regno borbonico le imposte erano soltanto cinque, contro le 22 introdotte dai Savoia.
«I soldi del Sud ripianarono il buco del Nord. Al tesoro circolante dell’Italiaunita,il Regno delle Due Sicilie contribuì per il 60 per cento, la Lombardia per l’1 virgola qualcosa, il Pie­monte per il 4. Negli Sta­ti via via annessi all’Ita­lia nascente, appena ar­rivavano i piemontesi spariva la cassa».
E di Giuseppe Garibal­di che cosa pensa?
«Romantico avventurie­ro, di idee forti, sempli­ci, a volte confuse, ma più onesto di altri nel de­nunciare, solo a cose fat­te però, le stragi e le rapi­n­e compiute nel Mezzo­giorno. Qualche proble­ma di salute, per l’artro­si che gli rendeva dolo­roso cavalcare: a Napoli arrivò in treno. Qualche disavventura familiare: la giovane sposa incinta di un altro. Qualche pa­gina oscura nel suo pas­sato sudamericano: la tratta degli schiavi dalla Cina al Perù. Ne hanno fatto un santino. Ma va bene così, ogni nazione ha bisogno dei suoi miti fondanti. Basta sapere chi erano veramente».
E di Camillo Benso conte di Cavour che cosa pensa?
«Grande giocatore, spe­cie nell’imprevisto. Non voleva la conquista del Regno delle Due Sicilie: gli bastavano il Lombar­do- Veneto e i Ducati. Già la Toscana gli pare­va in più. Ma quando l’avventura meridiona­le ebbe inizio, in breve la fece propria, persuase il re, neutralizzò Ga­ribaldi, ammansì chi si opponeva. Qualche suo vizietto sarebbe stato da galera. Come molti padri del Risorgimento, non mise mai piede al Sud: lo conosceva per sentito dire».
La peggiore figura del Risorgimento?
«Il generale Enrico Cialdini, poi deputato e senatore del Regno. Un macellaio che mena­va vanto del numero di meridionali fucilati, delle centinaia di case incendiate, dei paesi rasi al suolo. Prima di diventare eroe pluride­corato del Risorgimento, fu mercenario nel­la Legione straniera in Portogallo e Spagna. Uccideva i suoi simili a pagamento».
Quali sono gli episodi risorgimentali più rivoltanti, che l’hanno fatta ricredere sul­la sua italianità?
«Non si può smettere di essere italiani. Però mi sono dovuto ricredere circa il racconto bello e glorioso sulla nascita del mio Paese che avevo imparato a scuola. Da adolescente fremi d’indignazione per gli indiani stermi­nati sul Sand Creek e da grande scopri che i fratelli d’Italia nel Meridione fecero di peg­gio. La mitologia risorgimentale cominciò a vacillare quando lessi La conquista del Sud di Carlo Alianello. Vi si narrava la storia di una donna violentata e lasciata morire da 18 bersaglieri, che già le avevano ammazzato il marito. Il figlioletto che assistette alla scena, divenuto adolescente,si vantava d’aver ucci­so per vendetta 18 soldati di re Vittorio Ema­nuele a Custoza. Poi il massacro di Pontelan­dolfo e Casalduni, 5.000 abitanti il primo, 3.000 il secondo, due delle decine di paesi di­­strutti, con libertà di stupro e di saccheggio lasciata dal Cialdini ai suoi soldati, fucilazio­ni di massa, torture, le abitazioni date alle fiamme con la gente all’interno. E le migliaia di meridionali squagliati nella calce viva a Fe­­nestrelle, una fortezza-lager a una settantina di chilometri da Torino, a 1.200 metri di quota, battuta da venti gelidi, dove la vita media degli internati non superava i tre mesi. Per garantire ulteriore tormento ai pri­gionieri, erano state di­velte le finestre dei dor­mitori. Viva l’Italia!».
Gianfranco Miglio, ideologo della Lega, mi confidò che era an­cora terrorizzato da certe storie atroci udi­te da bambino, quan­do il nonno gli rac­contava che, giovane bersagliere in Cala­bria, aveva trovato un suo commilitone crocifisso su un ter­mitaio dai briganti.
«Le ha anche racconta­to che cos’aveva fatto quel bersagliere? Era in un Paese invaso senza manco la dichiarazione di guerra. Maria Izzo, la più bella di Pontelan­dolfo, fu legata nuda a un albero, con le gambe divaricate, stuprata a turno dai bersaglieri e poi finita con una baio­nettata nella pancia. A Palermo uccisero sotto tortura un muto dalla nascita perché si rifiuta­va di parlare. Riferirono in Parlamento d’aver fucilato, in un anno, 15.600 meridionali: uno ogni 14 minuti, per die­ci ore al giorno, 365 giorni su 365. Ma il conto delle vittime viene prudentemente stimato in almeno 100.000 da Giordano Bruno Guer­ri. Altri calcoli arrivano a diverse centinaia di migliaia. La Civiltà Cattolica , rivista dei gesuiti, nel 1861 scrisse che furono oltre un milione. La cifra vera non si saprà mai».
Da Terroni :«“Ottentotti”, “irochesi”, “be­duini”, “peggio che Affrica”, “degenera­ti”, “ritardati”, “selvaggi”, “degradati”: così i meridionali vennero definiti, e de­scritti con tratti animaleschi, dai fratelli del Nord scesi a liberarli». Io sono vene­to. Ha idea di quante ce ne hanno dette e ce ne dicono? Razzisti, analfabeti, beoti, ubriaconi, bestemmiatori, evasori fisca­li, sfruttatori di clandestini. Non crede che se cominciamo a tenere questo gene­re di contabilità, non la finiamo più?
«Devono finirla i Bossi, i Calderoli, i Borghe­zio, i Salvini, i Brunetta. Quella degradazio­ne dei meridionali ad animali preparò e giu­stificò il genocidio. Ricordo le parole di un intellettuale di Sarajevo: “Non è stato il fra­casso dei cannoni a uccidere la Jugoslavia. È stato il silenzio. Il silenzio sul linguaggio del­la violenza, prima che sulla violenza”. Un mi­nistro della Repubblica ha minacciato il ri­corso ai fucili. In Italia, adesso. Non a Sa­rajevo, allora».
Lei scrive che Luigi Federico Menabrea, presidente del Consiglio dei ministri del Regno, nel 1868 voleva deportare in Pata­gonia i meridionali sospettati di brigan­taggio. Che cosa dovrebbero dire i veneti deportati per davvero da Benito Mussoli­ni n­elle malariche paludi pontine per bo­nificarle?
«Menabrea voleva deportare i meridionali per sterminarli. I veneti nelle paludi pontine non furono deportati: ebbero lavoro, casa, terra risanata con i soldi di tutti e a danno di quelli che vi morivano di malaria da secoli per trarne pane. Ma vediamo il lato positivo: fra poveri s’incontrarono.E dove il sangue si mischia, nasce la bellezza. La provincia oggi chiamata Latina ha dato all’Italia la più alta concentrazione di miss da calendario per chilometro quadrato. E pure Santa Maria Goretti, che si fece uccidere per difendere la propria femminilità».
Scrive anche: «La Calabria non appartie­ne, geologicamente, al Mezzogiorno, ma al sistema alpino: si staccò con la Corsica dalla regione ligure-provenzale e migrò, sino a incastrarsi fra Sicilia e Pollino». Recrimina persino sull’orografia?
«O è un modo per dire che a Sud vogliono venirci tutti?».
Si dilunga sul caso di Mongiana, che in effetti è impressionante. Però che cosa dimostra? Da Nord a Sud, ogni distretto industriale piange i suoi dinosauri.
«Mongiana, in Calabria, era la capitale side­rurgica d’Italia e oggi contende alla confinan­te Nardodipace lo scomodo primato di Co­mune più povero d’Italia. I mongianesi, sra­dicati dal loro paese, si sono trovati a lavora­re nelle fonderie del Bresciano: 150 famiglie, circa 500 persone, solo a Lumezzane, che è ormai la vera Mongiana. Dove prima 1.500 operai e tecnici siderurgici specializzati ren­devano autosufficiente l’industria pesante del Regno delle Due Sicilie, adesso non è ri­masto neppure un fabbro. Il più ricco distret­to minerario della penisola fu soppresso dal governo unitario per un grave difetto struttu­rale: si trovava nel posto sbagliato, nel Meri­dione. Il Sud non doveva far concorrenza al Nord nella produzione di merci. E questo fu imposto con le armi e una legislazione squili­brata a danno del Mezzogiorno. La vicenda di Mongiana è esemplare, nell’impossibilità di raccontare tutto. Ma accadde la stessa co­sa con la cantieristica navale, l’industria fer­roviaria, l’agricoltura».
In occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, la città di Gaeta vuol chiedere un risarcimento per l’assedio savoiardo del 1861: 500 milioni di euro. Mi ricorda il Veneto, che pretende i danni di guerra dalla Francia per il saccheggio napoleo­nico del 1797: 1.033 miliardi di euro.
«C’è una differenza: al risarcimento di Gae­ta s’impegnò il luogotenente, principe di Ca­rignano, in nome del quale il generale Cialdi­ni, responsabile di quelle macerie, garantì per iscritto: “Il Governo di Sua Maestà prov­v­ederà all’equo e maggiore possibile risarci­mento”. Quando gli amministratori comu­nali andarono per riscuotere, il nuovo luogo­tenente, Luigi Farini, già distintosi con mo­glie e figlia nel patriottico furto dell’argente­ria dei duchi di Parma, consigliò loro di rivol­gersi “alla carità nazionale”».
Lei è arrivato al punto da dichiarare che Giulio Tremonti ruba al Sud per dare al Nord. Forse dimentica che il Veneto ha solo 225 dirigenti regionali mentre la Si­cilia ne ha 2.150. L’855 per cento in più. Che si aggiungono ai 100.000 dipendenti ordinari. Allora le chiedo: chi ruba a chi, se non altro lo stipendio?
«I fondi per le aree sottoutilizzate sono, per legge, all’85 per cento del Sud, e invece sono stati abbondantemente spesi al Nord. I 3,5 miliardi di euro con cui è stata abbuonata l’Ici a tutt’Italia erano quelli destinati alle strade dissestate di Calabria e Sicilia. I citta­dini della Val d’Aosta spendono il 10.195 per cento in più della Lombardia, pro capite, per i dipendenti regionali. Ma è una ragione a statuto speciale, si obietta. Giusto. Pure la Sicilia lo è. Il che non assolve né l’una né l’al­tra. Ma il paragone si fa sempre con l’altra».
Il sociologo Luca Ricolfi in Il sacco del Nord documenta che ogni anno 50 miliar­di­di euro lasciano le regioni settentriona­li diretti al Sud. E lei me lo chiama furto?
«Intanto i conti andrebbero fatti sui 150 an­ni. E poi lo stesso Ricolfi spiega che quei dati, valutati diversamente, portano a conclusio­ni diametralmente opposte. Non tutti sono d’accordo sul metodo scelto da Ricolfi. Va­da a farsi due chiacchiere col professor Gian­franco Viesti, bocconiano che insegna politi­ca economica all’Università di Bari».
S’ode a destra uno squillo di tromba: Ter­roni. A sinistra risponde uno squillo: Vi­va l’Italia! di Aldo Cazzullo. Che l’ha ac­cusata d’aver paragonato i piemontesi ai nazisti solo per vendere più copie.
«Incapace di tanta eleganza, a Cazzullo con­fesso che scrivo nella speranza di essere let­to. E non capisco perché il suo editore spen­da tanti soldi per pubblicizzare Viva l’Italia! se lo scopo è quello di non vendere copie. Il mio libro s’è imposto col passaparola».
Non nominare il nome di Marzabotto in­vano, le ha ricordato Cazzullo.
«Che differenza c’è fra Pontelandolfo e Marzabotto? Mettiamola così: il mio edito­re ha nascosto l’esistenza di Terroni , l’edi­tore di Cazzullo ha fatto il contrario. Nessu­no dei due ha ottenuto il risultato sperato».
Anche Ernesto Galli della Loggia e Fran­cesco Merlo hanno maltrattato il suo pamphlet.
«Libera critica in libero Stato: non si può pia­cere a tutti. A me piace non piacere a Galli della Loggia, per esempio. Prima ha parlato di “fantasiose ricostruzioni”. Poi, al pari di Merlo e di qualche altro, ha obiettato che le stragi risorgimentali nel Sud erano note e da considerarsi “normali” in tempo di guerra. A parte che a scuola tuttora non vengono stu­diate, allora scusiamoci con i criminali nazi­sti Herbert Kappler e Walter Reder per l’in­giusta detenzione; critichiamo gli Stati Uniti che hanno inflitto l’ergastolo all’ufficiale americano responsabile dell’eccidio di My Lai in Vietnam; chiediamoci perché si con­danni il massacro dei curdi a opera di Sad­dam Hussein. Insomma, solo l’uccisione in massa dei meridionali è “normale”?».
Sergio Romano sul Corriere della Sera s’è dichiarato infasti­dito dai «lettori meri­dionali che deplora­no i soprusi dei pie­montesi, l’arroganza del Nord, il sacco del Sud, e rimpiangono una specie di età del­l’oro durante la qua­le i Borbone di Napoli avrebbero fatto del lo­ro regno un modello di equità sociale e svi­luppo economico». E vi ha ricordato che, per unanime consen­so­ dell’Europa d’allo­ra, «il Regno delle Due Sicilie era uno degli Stati peggio go­vernati da una aristo­crazia retriva, pater­nalista e bigotta».
«Senta, foss’anche tutto vero, e non lo è, questo giustifica invasione, sac­cheggio e strage? Mi pa­re la tipica autoassolu­zione del colonizzatore: ti distruggo e ti derubo, però lo faccio per il tuo bene, neh? Infatti, l’Ita­lia riconoscente depo­ne ogni anno una coro­na d’alloro dinanzi alla lapide che ricorda il co­lonnello vicentino Pier Eleonoro Negri, il carne­fice di Pontelandolfo e Casalduni, e nega ai pae­si ridotti in cenere - ri­masero in piedi solo tre case - persino il rispetto per la memoria».
Lei ha fatto il servizio militare?
«Arruolato, C4 rosso, se non ricordo male: mi dissero che, se fosse scoppiata la guerra, sarei finito in ufficio. I miei polmoni non da­vano affidamento: postumi di Tbc e quattro pacchetti di Gauloises al giorno».
Se scoppiasse una guerra, difenderebbe l’Italia o no?
«Oh, ma che domande sono? Lo chieda a Bos­si e a Calderoli! Io sono un italiano che preten­de la verità critica su com’è nato il suo Paese e la fine della sperequazione e degli insulti a danno del Sud. La questione meridionale non esisteva 150 anni fa, il Consiglio naziona­le delle ricerche ha dimostrato che prodotto lordo e pro capite erano uguali al Nord e al Sud. I meridionali, con un terzo della popola­zione, diedero circa la metà dei caduti nelle trincee della prima guerra mondiale».
Silvius Magnago, lo storico leader della Svp, mi disse: «La patria è quella cui si sente di appartenere con il cuore. La mia Heimat è il Tirolo. Heimat, terra natia. Voi italiani non possedete questo concet­to. Non potete capire». Che cosa signifi­ca patria per lei? E qual è la sua Heimat?
«Lo dico nell’esergo del mio libro, con paro­le rubate allo scrittore francese Emmanuel Roblès: patria è “là do­ve vuoi vivere senza su­bire né infliggere umi­liazione” ».
Sarebbe favorevole a un’Italia divisa in cantoni, come la Sviz­zera?
«No. Una frontiera non migliora gli uomini. Al più, può peggiorarli. Ma se la Lega, dopo vent’anni di strappi, re­cidesse l’ultimo filo che tiene ancora unito il Pa­ese, un attimo prima il Sud dovrebbe andarse­ne, contrattando l’usci­ta, per evitare di essere derubato di nuovo».
Su quali basi andreb­be­ rifatta l’Unità d’Ita­lia?
«Eque. La forma garanti­sce poco la sostanza: va­da a spiegare ai giovani che la nostra è una Re­pubblica fondata sul la­voro. O che la legge è uguale per tutti. O che le Ferrovie dello Stato assi­curano il servizio in tut­to il Paese: Matera, ame­na località europea, è ignota alle Fs, lì il treno non è mai arrivato».
Fosse lei il presiden­te del Consiglio, che farebbe per ripulire Napoli dai rifiuti?
«Nominerei commissa­rio Vincenzo Cenname, il sindaco che ha fatto di Camigliano, provincia di Caserta, un esempio virtuoso nello smalti­mento, grazie alla raccolta differenziata che copre il 65 per cento del totale. Cenname s’è rifiutato di affidarne la gestione a un ente pro­vinciale, la cui inefficienza è testimoniata dalle immondizie che vengono lasciate nel­le strade per scoraggiare la raccolta differen­ziata a favore degli inceneritori. Per questo Cenname è stato rimosso dal prefetto, quasi fosse a capo d’una Giunta camorrista».
Siamo alla domanda delle cento pistole: i terroni hanno voglia di lavorare sì o no?
«Capisco che la domanda lei deve porla e im­magino che le costi dar voce agli imbecilli. Se fossi maleducato, risponderei: ma mi faccia il piacere! Non lo sono e quindi rispondo: quei 5 milioni di meridionali che stanno nel­le fabbriche del Nord, dall’abruzzese Sergio Marchionne in giù, come li vede? Sfaticati? Quei 20 milioni di emigrati nel mondo, che per la prima volta nella loro storia millenaria presero la via dell’esilio volontario dopo i di­sastri dell’Unità d’Italia, sono andati altrove a far nulla? La mia regione fu l’unica in cui per l’aridità della terra fallì il sistema di pro­duzione dell’impero romano, imperniato sulla villa. Ebbene di quei deserta Apuliae , de­serti di Puglia, la mia gente nel corso dei seco­­li, col sudore della fronte, ha fatto un giardi­no, rubando l’umidità alla notte con i muretti di pietra e piantando 60 milioni di ulivi. Mica co­me Bossi, che non ha la­vorato un giorno in vita sua. Anzi, sa che le dico, senza offesa, eh? Ma mi faccia il piacere!».
Il 52 per cento della popolazione di Terzi­gno, provincia di Na­poli, campa a carico dell’Inps. Sarà mica colpa dell’Inps?
«Se mi togli tutto, mi at­tacco a quello che c’è. Assistenza? Assistenza! Non mi piace, ma non ho altra scelta. A Parma, 170.000 abitanti, il mini­stero ha deciso di eroga­re lo stesso i soldi per la metropolitana progetta­ta per 24 milioni di uten­ti, poi ridotti a 8, infine abbandonata, per ver­gogna, spero, nonostan­te lo studio costato 30 milioni di euro. È la città della Parmalat, la peg­gior truffa di tutti i tem­pi. Però la truffa del fal­so invalido scandalizza maggiormente. Be’, a me le truffe danno fasti­dio tutte. Quella del po­vero la capisco di più».
La metà delle cause contro l’Inps si con­centra in sei città del Sud: Foggia, Napoli, Bari, Roma, Lecce e Taranto. A Foggia è pendente circail 15 per cento dell’intero contenzioso nazionale dell’istituto. Tut­ti i 46.000 braccianti iscritti alle liste di Foggia hanno fatto causa all’Inps. Dipen­derà mica dai Savoia.
«Per quanto possa sborsare l’Inps da Terzi­gno a Lecce, non si arriverà mai ai miliardi di euro che ci costano le multe pagate per colpa degli allevatori padani disonesti, grandi elet­tori della Lega. O assolviamo tutti, ed è sba­gliato, o condanniamo quelli che lo merita­no. Con una differenza: la truffa delle quote latte è già accertata. Aspettiamo di vedere co­me finiscono i procedimenti contro l’Inps».
C’è poco da aspettare: a Foggia, su 122.000 cause presentate, 25.000 sono state spontaneamente ritirate dagli avvo­cati. Erano state avviate per lo più a no­me di persone morte o inesistenti.
«Ma non è detto che tutte le altre siano im­motivate. Ripeto: aspettiamo».
Non sarà che lei mi diventa il Bossi del Sud?
«Già l’accostamento è offensivo. Io non giu­dico il mio prossimo dalla latitudine e ho sempre lavorato; né ho festeggiato tre volte la laurea, senza mai prenderla. Mi hanno of­­ferto candidature, ma ho ringraziato e rifiu­tato, perché inadatto: sono incensurato, ho pagato la casa con i miei soldi e voglio mori­re giornalista».
Eppure Giordano Bruno Guerri ha scrit­to che Terroni è sostenuto da piccoli ma combattivi gruppi neoborbonici e dal Partito del Sud di Antonio Ciano, assesso­re a Gaeta, e potrebbe diventare il testo sacro di una futura Lega meridionale, contrapposta a quella di Bossi.
«Il libro, una volta uscito, va per la sua stra­da, come i figli. Non puoi dirgli tu dove anda­re. Terroni non è sostenuto: è letto. E chi lo legge ne fa l’uso che vuole, a patto di non attribuirlo a me. Stimo Ciano e seguo con attenzione il Partito del Sud, i Neoborboni­ci, l’Mpa del governatore siciliano Raffaele Lombardo, l’associazione Io resto in Cala­bria di Pippo Callipo, il movimento Io Sud di Adriana Poli Bortone. Ma resto un osservato­re interessato ed esterno. Ero anche amico di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucci­so dalla camorra con nove colpi di pistola. Ricordo i suoi funerali, con quei fogli tutti uguali attaccati alle saracinesche dei negozi chiusi e ai portoni delle case: “Angelo,il pae­se muore con te”. Oggi per fortuna Pollica va avanti nel suo nome. In una ventina d’anni da sindaco, Angelo aveva arricchito tutti, senza distruggere niente del territorio, vero capitale del paese. Ammiravo il suo corag­gio, la sua fantasia, la sua capacità di trasfor­mare le idee in fatti. Ho pianto accompa­gnandolo al cimitero. Se avesse potuto ve­dermi, si sarebbe messo a ridere».
Per chi vota?
«La prima volta votai Dc per ingenuità, su consiglio d’un amico. Delusione feroce. Poi a sinistra, senza mai avere un partito, cosa che ritengo incompatibile col giornalismo. Infine quasi stabilmente per i repubblicani di La Malfa, padre, ov­viamente. Alle prossi­me elezioni forse non vo­terò, anche se so di fare un regalo ai peggiori».
Non mi pare che la si­nistra, con l’unico presidente del Consi­glio originario di Gal­lipoli, abbia migliora­to la condizione del Sud.
«Massimo D’Alema ha il collegio elettorale a Gallipoli e la moglie pu­gliese. Ma è romano. E poi, ripeto, l’essere di qui o di là non significa nulla. Il meridionali­smo è una dottrina solo italiana, nel mondo. È stata praticata da uomi­ni eccelsi per cultura e moralità,ma è un’inven­zione di italiani del Nord, specie lombardi. Solo dopo una genera­zione sono sorti i meri­dionalisti meridionali. Che mi frega di dove sei? Fammi vedere cosa fai!».
Lei lamenta l’invasio­ne burocratica pie­montese del Meridio­ne, però Mario Cervi le ha ricordato che og­gi il Sud amministra col proprio persona­le la macchina buro­cratica e giudiziaria dello Stato nell’Italia intera. E i risultati non sono brillanti.
«Tutti, ma proprio tutti gli enti, le banche, le aziende pubbliche o parapubbliche d’Italia sono in mano a settentrionali, in particolare lombardi, a parte un napoletano e tre roma­ni. Vuol dire che se cotanti capi non riesco­no a raggiungere buoni risultati la colpa è dei sottoposti? Se si vince è bravo il generale e se si perde sono cattivi i soldati? Quando dirigevo un giornale, la mia regola era: chiunque abbia sbagliato, la colpa è mia».


domenica 23 gennaio 2011

DALLA PARTE DEI BRIGANTI - IN DIRETTA ANCHE SU WWW.SKY830.IT



Oggi alle 21.00 - Domani alle 1.00


SUI CANALI SATELLITARI SKY 830 E TIVUSAT 79 E SUL WEB WWW.SKY830.IT






DALLA PARTE DEI BRIGANTI - L'autore del libro "Terroni", Pino Aprile, il cantautore, Eugenio Bennato, l'editorialista della Gazzetta del Mezzogiorno, Lino Patruno, il sindaco di Bari, Michele Emiliano, il presidente del Movimento Neoborbonico, Gennaro De Crescenzo, in un incontro dibattito sulla vera storia del Sud e del risorgimento italiano, condotto da Beppe Stucci. Tra i brani di Eugenio Bennato, da non perdere le interpretazioni di due splendide canzoni dedicate ai briganti Ninco Nanco e Michelina De Cesare. Il gruppo Pizzica Saliente canta e balle brani della taranta salentina. Suona anche l'orchestra di fiati di Conversano.
Se non hai la parabola puoi seguire il programma in diretta sul web www.sky830.it.Il programma sarà anche l'occasione per pubblicizzare la nascita di una nuova trasmissione dal titolo "Brigante Tv" che sarà in onda a partire da febbraio sui canali satellitari SKY 830 e TIVUSAT 79 e della nuova web-radio, che ha da poco cominciato le trasmissioni, www.regno.fm, con notizie e musiche per riaffermare nel mondo, le canzoni, i valori e la cultura di tutto il territorio che prima dell'unità d'Italia era il Regno di Napoli e delle Due Sicilie.
Importante. Puoi partecipare al programma in diretta inviando i tuoi SMS al numero (0039) 393.9864256.

Pubblicato da : NON MI ARRENDO a 1/23/2011 04:06:00 PM 0 commenti
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Primarie di Napoli, oggi il candidato. Ma è anche un test sul Centrosinistra.

Sfide in ogni quartiere, alle urne pure i sedicenni. Sms, cocktail e dibattiti fino all'ultimo per conquistare gli indecisi. In lizza Cozzolino, Mancuso, Oddati, Ranieri.

Appelli al voto e ultimi veleni. Sms, e-mail, cocktail, dibattiti. Non c'è la canonica "pausa di riflessione" e così la campagna si riscalda e continuerà fino a stasera. Si vota dalle 8 alle 21 per scegliere il candidato che guiderà il centrosinistra alle elezioni comunali di primavera e la battaglia si snoda in ogni quartiere con ognuno dei quattro in gara convinto di poterla spuntare.

Un sabato che ha visto tutti in campo nonostante il gelo. Il segretario napoletano del Pd Nicola Tremante ha trascorso alcune ore con il deputato Salvatore Piccolo assieme al candidato Umberto Ranieri con un incontro a Villa Domi organizzato da Alfonso Principe, presidente della municipalità Stella-San Carlo all'Arena. Professionisti, medici, presidi di istituti scolastici, commercianti, dipendenti pubblici. Tra loro anche un addetto all'ingresso del Comune: "Sono venuto a consegnare simbolicamente il pass per Palazzo San Giacomo a Ranieri". Che intanto insiste sul suo programma: legalità, più servizi, più politiche sociali, un cambiamento nello stile e nel metodo alla guida della città.

Per Libero Mancuso è invece sceso in campo con una raffica di e-mail il presidente della municipalità Vomero-Arenella Mario Coppeto, ex consigliere comunale dei Ds.
Appelli, sms, veleni!
una resa dei conti, tutta interna al Centrosinistra, per designare il candidato sindaco della città che è la storica capitale del Sud, massacrata dalle precedenti ed attuali cattive gestioni comunali e regionali.
Noi del Partito del Sud di Napoli, fuori dalle logiche della partitocrazia istituzionale, ma che crediamo di conoscere abbastanza bene fatti e persone della nostra città, ci auguriamo che almeno prevalga o l'antagonismo etico e morale di Libero Mancuso sostenuto da Nichi Vendola, o in alternativa la più moderata ma comunque pulita figura di Umberto Ranieri.
Restiamo dell'opinione che sia quanto mai necessaria un'inversione di tendenza nei metodi di gestione della cosa pubblica che preveda una forte connotazione ed attenzione ai temi del vero e nuovo meridionalismo.
Andrea Balìa Partito del Sud - Napoli

sabato 22 gennaio 2011

Presidente Napolitano, il 17 marzo non festeggi la Monarchia, è un tradimento

di Antonio Ciano

"L’archivio storico dello stato maggiore- lo conferma la sciocca laconicità alla quale ha costretto lei, il governo italiano!- è l’armadio nel quale la setta tricolore custodisce e protegge i suoi risorgimentali scheletri infami; custodisce e protegge le prove delle sue gloriosità sempre abiette; custodisce e protegge le prove che nel 1860 l’esercito piemontese calò a tradimento nel Regno di Napoli e si comportò, secondo il naturale dei suoi bersaglieri e dei suoi carabinieri, da orda barbarica; custodisce e protegge le prove che Vittorio Emanuele II di Savoia, ladro, usurpatore, assassino ( e perciò galantuomo) nonché il suo protobeccaio Benso Camillo, porco di stato ( e perciò statista sommo) ordinarono ai propri sadici chianchieri ( traduco per i toschi: ai propri sadici macellai) di mettere a ferro e fuoco l’invaso Reame, libero, indipendente e sovrano, e di annetterlo quindi al Piemonte grazie ad un plebiscito che fu soltanto una truffa schifosa, combinata da garibaldesi, da guardie nazionali, da soldati allobrogici, e da camorristi..."

(interpellanza parlamentare di Angelo Manna)

Il presidente della Repubblica Napolitano, tradendo la sua funzione istituzionale, festeggerà il 17 marzo i 150 anni della Monarchia sabauda. . Un affronto alla nostra Repubblica.
Trattasi di tradimento alla Resistenza, a quanti si sono immolati, a quanti sono morti per darci la libertà, morti per questa Repubblica diventata un puttanaio.
Sig Presidente, ci ripensi, il 17 marzo non può recarsi a rendere omaggio a Vittorio Emanuele II, uno dei più grandi criminali della storia.
Invase il Regno delle due Sicilie senza dichiarazione di guerra, massacrò un milione di meridionali, fece smantellare fabbriche, fece smembrare il tesoro delle Due Sicilie, fece emigrare milioni di italiani.


Come ha scritto Manna, Vittorio Emanuele II era un ladro, un usurpatore,un assassino, un massone, un monarca.

La Repubblica Italiana è nata sulle ceneri di casa savoia; il presidente di una repubblica non può festeggiare la monarchia perdente, feroce, che massacrò una parte d'Italia per arricchire l'altra.

L'Italia fu riunita il 25 aprile del 1945, dopo che fu divisa in tre tronconi dalla fuga di un altro savoia l'8 settembre del 1943.
L'Italia nord-orientale fu accorpata il 10 settembre del 1943 al Terzo Reich con un decreto di Hitler;
l'Italia nord -occidentale era amministrata da Mussolini con la RSI;
il Sud era amministrato dagli Alleati.
Gli storici di regime e la massoneria, Sig Presidente, la stanno guidando verso il baratro istituzionale.
I ragazzi non capiscono, non si può confondere l'Unità d'Italia con il Regno d'Italia.


La Francia festeggia la Repubblica e non la Monarchia.
Gli israeliani festeggiano il loro stato e non Hitler che li massacrò.


Il re fellone Vittorio Emanuele II, dopo aver promulgato le leggi razziste contro gli ebrei, ha ancora strade e piazze intitolate, faccia un decreto presidenziale; bisogna cancellarlo dalla storia, dalle strade, dalle piazze italiane.

Gliene saranno grati gli ebrei , gli italiani e il mondo intero. Questo è il gesto che un Presidente della Repubblica nata dalla resistenza deve compiere.

Pubblicato da : NON MI ARRENDO a 1/22/2011 05:30:00 PM 0 commenti
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venerdì 21 gennaio 2011

Raimondi: Abbiamo salvato il Comune dal dissesto finanziario. "E tutto il resto è noia".

«Si chiama capacità amministrativa ed è quella che stiamo dimostrando di avere noi come amministrazione comunale, tutto il resto è noia!». Lo ha dichiarato ieri mattina il sindaco Antonio Raimondi nel corso di una conferenza stampa nella quale ha tracciato un bilancio molto positivo dei suoi 4 anni di mandato amministrativo, bacchettando a destra e a manca partiti e consiglieri comunali di opposizione: in pole position la democratica antiraimondina Pina Rosato per la sua battaglia in favore degli ausiliari del traffico e Giuseppe Matarazzo (Udc).
Raimondi e Ciano

«Mi puzza -ha detto infatti Raimondi riferendosi in particolare alla capogruppo del Pd - una difesa a spada tratta di una sola categoria di lavoratori. Dov'era la Rosato quando l'Italcraft metteva in cassa integrazione 47 dipendenti, la Panapesca e la Ginori minacciavano la chiusura e il Mirasole chiudeva?». Per il resto, Raimondi ha annunciato che dopo 7 anni di bilanci praticamente in rosso la sua amministrazione nel 2010 ha riportato il comune a più 35.000 euro e da ieri addirittura a più 1.200.000.
«Grazie alla nostra capacità di amministrare, senza aumentare le tasse, facendo pagare chi non lo aveva mai fatto, stanno entrando soldi in cassa dall'Ici, da altre fonti e dalle multe incassate -ha spiegato il sindaco-. Ma a contraddistinguerci dalle precedenti amministrazioni c'è soprattutto il fatto che spendiamo solo ciò che realmente abbiamo».
Secondo Raimondi la sua amministrazione sarà premiata per questo alle prossime amministrative. «Siamo già in pole position rispetto agli sconquassati partiti tradizionali», ha detto infatti. Il sindaco ha rivendicato inoltre il merito di avere impedito la chiusura delle fabbriche a Gaeta, e che l'incontro di ieri in regione per decidere il futuro dei 47 lavoratori dell'Italcraf sarebbe stato positivo proprio per l'interessamento del comune. Sabato intanto incontrerà gli altri sindaci del Golfo per parlare di ospedale comprensoriale, mentre lunedì al commissario dell'Autorità portuale Fedele Nitrella chiederà un impegno su porto e crocieristica.

Fonte : Il Tempo del 20/01/2011

giovedì 20 gennaio 2011

IL FUTURO SOTTOTRACCIA


di Pino Aprile

Anticipo un brano di qualcosa che sto scrivendo. E su cui credo di dover raccogliere altri dati e riflettere, ma…


Cosa succede dove sembra che non stia succedendo nulla? Nelle regioni più dimenticate, per dire? Come in Calabria, che sembra esistere solo per il male, la ‘ndrangheta? Forse, sottotraccia, sotto il pelo libero delle notizie, dove non arriva l’occhio dei giornali (indifferenti al Sud, se non per sangue e monnezza), si prepara il futuro.

Non so dire come sarà, e nemmeno se ce la farà ad essere, ma qualcosa sta accadendo. Ed è qualcosa di nuovo. Forse di decisivo. Non so nemmeno se i protagonisti se ne rendano conto: si muovono quasi ognuno per conto proprio, ma nella stessa direzione. Se non si disperderanno prima, sono destinati a incontrarsi e divenire un popolo in marcia. Ne incontro molti di questi ragazzi, studenti, giovani professionisti, nei miei giri terronici in Meridione. Sarà per la ragione dei miei viaggi, che forse seleziona le persone; o perché sono fortunato negli incontri; o magari per altro che falsa la statistica… insomma, può essere per molte ragioni, ma non si può escludere la possibilità che le cose siano proprio come appaiono: c’è una generazione di meridionali che non vuole più andarsene e, dopo aver conosciuto mondo, vuol saperne di più del Sud e viverci.

Non hanno l’aria dei sognatori, dei missionari, degl’idealisti… Sono gente pratica: ci arrivano per ragionamento, somma di convenienze e la delusione di un Nord non più dorato, che ha perso la vergogna dei suoi umori più impresentabili, della sua avidità. E c’è anche l’ostinazione di credere che persino a Sud, chi vuole e insiste, qualcosa possa conquistare.
Con tante limitazioni, e mentre molti se ne vanno, loro restano; e ci provano; ci credono o si sforzano di farlo. Li vedi darsi da fare, per volontariato, agendo con la padronanza e l’efficienza di manager d’esperienza (forse il risultato di studi specifici); li scopri nell’organizzazione di un premio importante, complesso, come il Rhegium Julii, a Reggio Calabria, che comporta una serie di iniziative con istituzioni, scuole, nel territorio della provincia, e si regge quasi solo sulla buona volontà e le capacità di studenti, studentesse, o di fresca laurea (e lauree importanti). Ti guidano con educazione e polso fermo (è toccato pure a me, visto che mi hanno dato il Rhegium Julii); sanno prendere le misure agl’imprevisti e risolverli con scioltezza; lo fanno senza soggezione, a volte con ironia (complici, fra loro), per certe ritualità estranee ai loro vent’anni. Ma “vendono” il loro prodotto al meglio.

I Bronzi di Riace li hai già visti, glielo dici. Li hai visti al Quirinale, poi al museo di Reggio Calabria. Sì, ma adesso sono in restauro (e si restaura pure la sede del Museo, dove torneranno), senza lasciare la città; e sono sdraiati, non in piedi. Li hai mai visti sdraiati? Sdraiati no, e fors’è meglio: un guerriero a terra è un guerriero sconfitto; il contrario dell’orgogliosa potenza o prepotenza dei Bronzi. Un’umiliazione, no? No: anche gli eroi riposano…

Ok, ho capito, andiamo: i guerrieri stanno nella sede del Consiglio regionale, un pezzo del risarcimento dato a Reggio, per lo “scippo” del titolo di capoluogo della Regione. La guida che ci accoglie ha esperienze all’estero, impeccabile nella divisa, ferratissima, diresti fiera di quel che sa sulla propria terra, di cui mostra i tesori recuperati.
Quando ho visto i Bronzi l’ultima volta, poco più di un anno fa, erano nel Museo, ridotto male: degradato l’ambiente, e degradato l’umore di chi vi lavorava. Ora, in uno spazio lindo, persino presuntuoso, prevale fortissima l’idea di efficienza, di motivato orgoglio, mentre ti dicono quali sofisticate tecnologie garantiscano temperatura e umidità ideali per gli dei di bronzo; come il restauro avvenga dinanzi agli occhi di tutti, di là dal vetro; da quali centri della regione provengano gli altri reperti. È una vera e propria dichiarazione di appartenenza.
E non mi sembra un caso, per dire, che dei tanti movimenti culturali e politici sorti sull’onda del rinato meridionalismo, “Io resto in Calabria” (sostenuto dall’imprenditore Pippo Callipo) sia unico, indicando un progetto territoriale, identitario, affidato ai giovani e con tecniche moderne, manageriali, modellate sul futuro, con la creazione di una scuola di politica per educare una nuova classe dirigente.
Ma il punto di forza è avvertire, in tanti di questi giovani, l’assenza della condizione di minorità che frena il Sud da un secolo e mezzo: girano il mondo in aereo, voli low cost, con in tasca una moneta europea e forte, conoscendo, come fosse quella del proprio quartiere, la vita (non così diversa dalla propria) dei coetani di Paesi che erano esotici, mondi altri, per i loro padri, noi. Ogni luogo raggiungibile del pianeta, per questa generazione, è un’estensione del loro posto, di casa; e, con gente non importa quanto lontana (per l’uso degli stessi strumenti informatici, la condivisione di mode, dagli abiti alla musica), si incontrano per quel che hanno in comune e si apprezzano per quel che li distingue (noi, i padri, se andavi in Francia, eri stato all’estero). Così, si impara il valore (valore di scambio) delle proprie specificità. E quel che era vissuto come minoritario non è più tale.
Ho chiesto a un paio di ragazze volontarie al premio Rhegium Julii, perché lo facessero: «Qui, c’è poco. E quel poco è a rischio. Vogliamo tenercelo».